venerdì 13 maggio 2016

Il manichino

"Il manichino", canzone interpretata nell'anno 1974 da Gino Paoli, è una cover del brano " De cartòn piedra" di Joan Manuel Serrat, meraviglioso cantautore e poeta spagnolo.Per ciò che concerne l'interpretazione musicale, personalmente ritengo che la versione italiana sia più coinvolgente, perché supportata da un ritmo (valzer lento) più appropriato.
Il brano ci racconta gli effetti di una solitudine senza fine, giustificati illegittimamente dentro i limiti della pazzia.                                                             
Quando l'amore e gli affetti vengono a mancare, quando il destino prende inesorabilmente a schiaffi le nostre speranze e i nostri sogni... può rivelarsi sensibilmente sottile, caduco, confuso e illusorio il confine che ci separa dalla follia.
 
Con gli occhi chiari e le ciglia all’insù
Ed un vestito firmato Cardin
Mi sorrideva dentro una vetrina
Con la sua bocca rossa e piccolina
Nei suoi piedini le scarpe marron
Su cui brillava la luce del sol
Bella e pulita era, sempre alla moda
Sempre ordinata, pronta per uscire
Io ogni momento ero lì da lei
Innamorato del viso suo, di cartapesta
E lì, tra saldi, offerte e novità
Con lei l’inverno era d’estate
Era più dolce la mia pena
Tutte le donne che ho avuto fin qui
M’hanno soltanto sbranato di più
M’hanno mangiato tutto, tutto quel che avevo
Ed hanno riso di quel che dicevo
La prima volta hanno detto di sì
Poi m’han sputato addosso dei no
Giocan la carta che gli dà il momento
“Domani”, domani è solo un avverbio di tempo
No, lei era lì, dentro la sua vetrina
E mi aspettava ogni mattina, come una sposa
Come un uccellino, chiedendomi “andiamo via, andiamo via,
Viviamo insieme questa storia”
Una sassata e il cristallo va giù
E poi di corsa con lei a casa mia
Io la stringevo qui tra le mie braccia
E carezzavo quella strana faccia
Sotto la pioggia balliamo “uno due tre, un due tre”
Un valzer lento suonava da sé
Ed io parlavo del nostro futuro
E lei piangeva in silenzio, lo giuro
E tra quattro pareti e un tetto
Lì si calmò nel nostro petto, pena con pena
Via, in sella a tutto l’universo
Ho fatto del passato un verso
Nascosto dentro ad un poema
E poi sono arrivati loro
E mi hanno tirato fuori a spintoni dalla mia casa
E mi hanno rinchiuso qui, tra quattro pareti bianche
Dove vengono, vengono a trovarmi i miei amici
Di giorno in giorno, di mese in mese
Di anno in anno

2 commenti:

  1. mi sembra di spaziare in quelle solitudini talmente immense da creare forze immaginarie in grado di costruire storie di ombre e fantasmi. Non solitudini dovute ad una perdita, un vuoto determinato da eventi di percorso di vita. Si tratta di vite, quasi non vissute, di vita che ti sfiora appena, ti passa accanto quasi ignorandoti. non c'è un ricordo a cui aggrapparsi, un'emozione da pensare e sentire risalire da dentro se, tanto da inumidire un po' gli occhi, tanto da richiamare una forma nostalgica. Secondo me, il sottile filo che separa l'oblio dalla solitudine consiste proprio nel gran vuoto esistenziale e dal dramma di una solitudine amplificata e devastante in quanto ignorata da una realtà umana che oltre a non vedere nemmeno si sogna di osservare.

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  2. Giuste considerazioni.
    Sai, quando ero ragazzo, ci sono stati momenti in cui ascoltavo sempre questa canzone..non me la passavo bene in quel periodo; ho vissuto la solitudine in gran parte delle sue sfaccettature: è un dolore che ti prende e si insinua nei cunicoli dell'anima.
    E nessuna via d'uscita, nessun pensiero positivo, nessuno diposto a salvarti.
    Mi identificavo nel personaggio descritto nel brano, amplificando così la mia sofferenza.
    E' passato tanto tempo da allora, nulla è rimasto a parte un piccolo ricordo..

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