mercoledì 8 giugno 2016

An-gelo

Affogherai la mia anima
dentro il tuo disprezzo
e il mio corpo
sarà la tua fotografia
Quando arriverà quel giorno
ricordati
che ho lasciato alle tue mani
le mie piccole ali.
                                                                  (alec)

mercoledì 1 giugno 2016

Dueling Banjos


Presumo che tutti abbiano avuto l'opportunità di vedere il film "Un tranquillo week end di paura (Deliverance)", lungometraggio del 1972 che descrive un ritorno alla natura controverso dove la violenza si concretizza improvvisa e crudele,cruda e brutale oltre ogni immaginazione.
Unica dolce nota dissonante che contrasta col truce filo conduttore di questa pellicola è il duetto di banjos che giunge come un fulmine a ciel sereno a deliziarci l'anima...a regalarci momenti di viscerale soddisfazione. Pura magia.

"Dueling Banjos" è una composizione strumentale di Artur "Guitar Boogie"Smith.
È un duetto suonato originariamente da un banjo a quattro corde (accompagnatore) e un banjo a cinque corde bluegrass (improvvisatore), La versione in questione è stata eseguita da Eric Weissberg e Steve Mandell.
Il brano è stato reso celebre dal film sopra citato ed è rimasto nella classifica Billboard Hot 100 fino alla fine del 1973.

venerdì 13 maggio 2016

Il manichino

"Il manichino", canzone interpretata nell'anno 1974 da Gino Paoli, è una cover del brano " De cartòn piedra" di Joan Manuel Serrat, meraviglioso cantautore e poeta spagnolo.Per ciò che concerne l'interpretazione musicale, personalmente ritengo che la versione italiana sia più coinvolgente, perché supportata da un ritmo (valzer lento) più appropriato.
Il brano ci racconta gli effetti di una solitudine senza fine, giustificati illegittimamente dentro i limiti della pazzia.                                                             
Quando l'amore e gli affetti vengono a mancare, quando il destino prende inesorabilmente a schiaffi le nostre speranze e i nostri sogni... può rivelarsi sensibilmente sottile, caduco, confuso e illusorio il confine che ci separa dalla follia.
 
Con gli occhi chiari e le ciglia all’insù
Ed un vestito firmato Cardin
Mi sorrideva dentro una vetrina
Con la sua bocca rossa e piccolina
Nei suoi piedini le scarpe marron
Su cui brillava la luce del sol
Bella e pulita era, sempre alla moda
Sempre ordinata, pronta per uscire
Io ogni momento ero lì da lei
Innamorato del viso suo, di cartapesta
E lì, tra saldi, offerte e novità
Con lei l’inverno era d’estate
Era più dolce la mia pena
Tutte le donne che ho avuto fin qui
M’hanno soltanto sbranato di più
M’hanno mangiato tutto, tutto quel che avevo
Ed hanno riso di quel che dicevo
La prima volta hanno detto di sì
Poi m’han sputato addosso dei no
Giocan la carta che gli dà il momento
“Domani”, domani è solo un avverbio di tempo
No, lei era lì, dentro la sua vetrina
E mi aspettava ogni mattina, come una sposa
Come un uccellino, chiedendomi “andiamo via, andiamo via,
Viviamo insieme questa storia”
Una sassata e il cristallo va giù
E poi di corsa con lei a casa mia
Io la stringevo qui tra le mie braccia
E carezzavo quella strana faccia
Sotto la pioggia balliamo “uno due tre, un due tre”
Un valzer lento suonava da sé
Ed io parlavo del nostro futuro
E lei piangeva in silenzio, lo giuro
E tra quattro pareti e un tetto
Lì si calmò nel nostro petto, pena con pena
Via, in sella a tutto l’universo
Ho fatto del passato un verso
Nascosto dentro ad un poema
E poi sono arrivati loro
E mi hanno tirato fuori a spintoni dalla mia casa
E mi hanno rinchiuso qui, tra quattro pareti bianche
Dove vengono, vengono a trovarmi i miei amici
Di giorno in giorno, di mese in mese
Di anno in anno

lunedì 9 maggio 2016

La pianta del tè

Voglio dedicare il mio primo post ad una canzone di Ivano Fossati. La mia recensione che segue in coda al testo della canzone è stata ripresa da un mio vecchio blog...tutto ciò, non per risparmiare tempo e fatica, ma perché penso che questo possa essere un buon inizio per cominciare questo nuovo viaggio.


Come cambia le cose
la luce della luna
come cambia i colori qui
la luce della luna
come ci rende solitari e ci tocca
come ci impastano la bocca
queste piste di polvere
per vent'anni o per cento
e come cambia poco una sola voce
nel coro del vento
ci si inginocchia su questo
sagrato immenso
dell'altipiano barocco d'oriente
per orizzonte stelle basse
per orizzonte stelle basse
oppure niente.

E non è rosa che cerchiamo non è rosa
e non è rosa o denaro, non è rosa
e non è amore o fortuna
non è amore
che la fortuna è appesa al cielo
e non è amore

Chi si guarda nel cuore
sa bene quello che vuole
e prende quello che c'è

Ha ben piccole foglie
ha ben piccole foglie
ha ben piccole foglie
la pianta del tè.

Brano introspettivo e di largo respiro. 
La canzone di Fossati, idealizzando il cammino percorso secoli e secoli fa da popolazioni nomadi, che dall'India si spostarono via terra verso l'Europa fino alle rive del Mediterraneo e da lì diramandosi verso il Medio Oriente e l'Africa, ci parla di un popolo diverso dal nostro ma impregnato di umanità errante.
Le nostre sofferenze e la nostra esistenza acquistano significato dinanzi a quel "sagrato immenso".
Ci ritroviamo così a rivisitare il nostro passato, a ricollocare il presente e a desiderare un futuro che non potrà deluderci, se sapremo raggiungere la consapevolezza di noi stessi. 
Se attraverseremo la vita abbandonando le zavorre che ci soffocano il respiro, se ci libereremo di tutte le apparenze ingannevoli, potremo dire di non avere percorso inutilmente il nostro viaggio...saremo giunti ad un passo verso casa.
Stiamo cercando noi stessi, per quanto piccoli noi siamo, stiamo perseguendo i nostri piccoli sogni...vogliamo gioire delle nostre piccole, immense emozioni ("ha ben piccole foglie la pianta del tè").