Presumo che tutti abbiano avuto l'opportunità di vedere il film "Un tranquillo week end di paura (Deliverance)", lungometraggio del 1972 che descrive un ritorno alla natura controverso dove la violenza si concretizza improvvisa e crudele,cruda e brutale oltre ogni immaginazione. Unica dolce nota dissonante che contrasta col truce filo conduttore di questa pellicola è il duetto di banjos che giunge come un fulmine a ciel sereno a deliziarci l'anima...a regalarci momenti di viscerale soddisfazione. Pura magia. "Dueling Banjos" è una composizione strumentale di Artur "Guitar Boogie"Smith. È un duetto suonato originariamente da un banjo a quattro corde (accompagnatore) e un banjo a cinque corde bluegrass (improvvisatore), La versione in questione è stata eseguita da Eric Weissberg e Steve Mandell. Il brano è stato reso celebre dal film sopra citato ed è rimasto nella classifica Billboard Hot 100 fino alla fine del 1973.
"Il manichino", canzone interpretata
nell'anno 1974 da Gino Paoli, è una
cover del brano " De cartòn
piedra" di Joan Manuel Serrat,
meraviglioso cantautore e poeta spagnolo.Per ciò che concerne l'interpretazione
musicale, personalmente ritengo che la versione italiana sia più coinvolgente, perché
supportata da un ritmo (valzer lento) più appropriato.
Il brano ci
racconta gli effetti di una solitudine senza fine, giustificati
illegittimamente dentro i limiti della pazzia.
Quando l'amore e gli affetti vengono a mancare, quando il destino prende
inesorabilmente a schiaffi le nostre speranze e i nostri sogni... può rivelarsi
sensibilmente sottile, caduco, confuso e illusorio il confine che ci separa
dalla follia.
Con gli occhi chiari e le ciglia all’insù
Ed un vestito firmato Cardin
Mi sorrideva dentro una vetrina
Con la sua bocca rossa e piccolina
Nei suoi piedini le scarpe marron
Su cui brillava la luce del sol
Bella e pulita era, sempre alla moda
Sempre ordinata, pronta per uscire
Io ogni momento ero lì da lei
Innamorato del viso suo, di cartapesta
E lì, tra saldi, offerte e novità
Con lei l’inverno era d’estate
Era più dolce la mia pena
Tutte le donne che ho avuto fin qui
M’hanno soltanto sbranato di più
M’hanno mangiato tutto, tutto quel che avevo
Ed hanno riso di quel che dicevo
La prima volta hanno detto di sì
Poi m’han sputato addosso dei no
Giocan la carta che gli dà il momento
“Domani”, domani è solo un avverbio di tempo
No, lei era lì, dentro la sua vetrina
E mi aspettava ogni mattina, come una sposa
Come un uccellino, chiedendomi “andiamo via, andiamo via,
Viviamo insieme questa storia”
Una sassata e il cristallo va giù
E poi di corsa con lei a casa mia
Io la stringevo qui tra le mie braccia
E carezzavo quella strana faccia
Sotto la pioggia balliamo “uno due tre, un due tre”
Un valzer lento suonava da sé
Ed io parlavo del nostro futuro
E lei piangeva in silenzio, lo giuro
E tra quattro pareti e un tetto
Lì si calmò nel nostro petto, pena con pena
Via, in sella a tutto l’universo
Ho fatto del passato un verso
Nascosto dentro ad un poema
E poi sono arrivati loro
E mi hanno tirato fuori a spintoni dalla mia casa
E mi hanno rinchiuso qui, tra quattro pareti bianche
Dove vengono, vengono a trovarmi i miei amici
Di giorno in giorno, di mese in mese
Di anno in anno
Voglio dedicare il mio primo post ad una canzone di Ivano Fossati. La mia recensione che segue in coda al testo della canzone è stata ripresa da un mio vecchio blog...tutto ciò, non per risparmiare tempo e fatica, ma perché penso che questo possa essere un buon inizio per cominciare questo nuovo viaggio.
Come cambia le cose la luce della luna come cambia i colori qui la luce della luna come ci rende solitari e ci tocca come ci impastano la bocca queste piste di polvere per vent'anni o per cento e come cambia poco una sola voce nel coro del vento ci si inginocchia su questo sagrato immenso dell'altipiano barocco d'oriente per orizzonte stelle basse per orizzonte stelle basse oppure niente. E non è rosa che cerchiamo non è rosa e non è rosa o denaro, non è rosa e non è amore o fortuna non è amore che la fortuna è appesa al cielo e non è amore Chi si guarda nel cuore sa bene quello che vuole e prende quello che c'è Ha ben piccole foglie ha ben piccole foglie ha ben piccole foglie la pianta del tè.
Brano introspettivo e di largo respiro.
La
canzone di Fossati, idealizzando il cammino percorso secoli e secoli fa
da popolazioni nomadi, che dall'India si spostarono via terra verso
l'Europa fino alle rive del Mediterraneo e da lì diramandosi verso il
Medio Oriente e l'Africa, ci parla di un popolo diverso dal nostro ma
impregnato di umanità errante.
Le nostre sofferenze e la nostra esistenza acquistano significato dinanzi a quel "sagrato immenso".
Ci ritroviamo così a rivisitare il nostro passato, a ricollocare il
presente e a desiderare un futuro che non potrà deluderci, se sapremo
raggiungere la consapevolezza di noi stessi.
Se
attraverseremo la vita abbandonando le zavorre che ci soffocano il
respiro, se ci libereremo di tutte le apparenze ingannevoli, potremo
dire di non avere percorso inutilmente il nostro viaggio...saremo giunti
ad un passo verso casa.
Stiamo cercando noi stessi, per quanto piccoli noi siamo, stiamo
perseguendo i nostri piccoli sogni...vogliamo gioire delle nostre
piccole, immense emozioni ("ha ben piccole foglie la pianta del tè").